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Getting to Know: Jordan Pepper
Jordan Pepper, pilota ufficiale Lamborghini, è l’esempio perfetto di perseveranza. Più di una volta, lungo il suo percorso agonistico, ha pensato di essere arrivato al capolinea. Il motorsport, però, spesso restituisce ciò che ha tolto, e lo fa nei momenti più inaspettati. Da quando ha trovato posto tra i piloti ufficiali di Lamborghini Squadra Corse, il sudafricano è diventato uno dei migliori interpreti al mondo della categoria GT3.
Come i suoi amici – oggi avversari in pista – Kelvin e Sheldon van der Linde, anche Pepper ha dovuto compiere sacrifici enormi. Trasferirsi a migliaia di chilometri da casa, nel cuore del motorsport europeo, ha significato vivere tra speranze, delusioni, dubbi e rinascite.
Dopo aver conquistato il titolo del GT World Challenge America nel 2021 insieme ad Andrea Caldarelli, Pepper ha atteso due anni prima di essere promosso a pilota ufficiale. Oggi, con in bacheca un successo alla 24 Ore di Spa e un presente da protagonista nel DTM con il Grasser Racing Team, il ventinovenne originario di Edenvale, vicino a Johannesburg, sta vivendo il miglior momento della sua carriera.
È difficile trovare un pilota più appassionato e determinato di lui tra quelli al vertice del panorama GT3. Ma la fame di Jordan Pepper non si sazia mai.
Come hai iniziato con il motorsport?
«Sono cresciuto in mezzo alle corse. Mio padre Ian correva ad alti livelli in Sudafrica ed era un volto noto del motorsport locale. Fin da piccolissimo ero immerso in quell’ambiente: correvo per il paddock col triciclo, in mezzo a gente molto più grande di me. Mia sorella Tasmin, che ha sei anni più di me, correva in kart. Non volevo fare altro che imitarla.
I miei genitori hanno fatto il possibile per aiutarmi a iniziare, senza mai forzarmi. Eravamo io, mio padre e mia sorella nel furgone, avanti e indietro per i circuiti, mentre mia madre e l’altra mia sorella ci seguivano da più lontano. Non avevamo molte risorse, tantomeno il miglior materiale. Usavamo un motore per le prove e uno per le gare, solitamente quelli già usati da mia sorella e con almeno quattro anni alle spalle. Gli altri piloti avevano 10-12 motori, più giornate di test e più gomme. È stata una partenza dal basso, ma siamo andati avanti, e ho avuto l’opportunità di competere e vincere in Sudafrica».
Quanto è stato importante per te trasferirti in Europa?
Kelvin van der Linde, mio grande amico, ha la mia stessa età. È noto che abbiamo corso molto insieme. Siamo sempre stati amici, ma quando ci sfidiamo in pista vogliamo batterci a tutti i costi. Lui è passato alle auto un anno prima di me, poi abbiamo corso insieme in una monomarca in Sudafrica e ci siamo trasferiti in Europa nello stesso momento.
Penso sia stato importante che entrambi abbiamo fatto lo stesso pazzo percorso insieme: eravamo due ragazzini sudafricani a migliaia di chilometri da casa. A volte poteva essere scoraggiante, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. In Germania abitavamo vicini e ci siamo aiutati molto ad ambientarci. Abbiamo sacrificato tanto: non abbiamo vissuto l’adolescenza tipica dei nostri coetanei, non ho molti amici in patria, ma non credo di essermi perso nulla in termini di esperienze di vita, andando via così presto.
Perché i piloti sudafricani sono così forti nelle corse GT?
«Abbiamo grinta e determinazione, soprattutto di fronte alle difficoltà. Lo vedi in tanti sport sudafricani, dal rugby al cricket, e lo vedi anche in noi tre. Quando corri, rappresenti la tua famiglia e il tuo Paese: questa è una motivazione in più, perché sei lontanissimo da casa.
Tutto nasce dai sacrifici: abbiamo rinunciato a molto nella vita e non avevamo un piano B. In Europa è diverso: c’è una cultura consolidata del motorsport, c’è la vicinanza della famiglia. Noi eravamo a 4.000 km di distanza: certo, puoi fare una telefonata, ma non puoi ricevere un abbraccio quando serve. È dura. Abbiamo dovuto affrontarlo, crescere più velocemente degli altri e imparare a cavarcela. Tante volte ho pensato che la mia carriera fosse finita: avevo contratti ufficiali con Audi e Bentley, poi chiusi. Ma sono sempre riuscito a rialzarmi».
Quanto sei cresciuto da quando sei pilota ufficiale Lamborghini?
«Moltissimo. La mia carriera è stata un susseguirsi di alti e bassi. Dopo l’esperienza Bentley, inizialmente non volevo un altro contratto ufficiale. Volevo guardarmi intorno e valutare le opportunità. Nel 2021 ho corso in GTWC America con K-PAX e con Andrea Caldarelli: abbiamo dominato e vinto il titolo, mentre nel 2022 sono arrivato secondo.
Poi nel 2023 è arrivata un’offerta incredibile da Lamborghini. Mi hanno fatto sentire parte di una famiglia dal primo giorno e mi hanno permesso di crescere come pilota. Correre nei migliori campionati con i top team è stato fantastico. Vincere la 24 Ore di Spa con Mirko (Bortolotti, ndr) e Luca (Engstler, ndr) è stato un sogno diventato realtà. Avevo già vinto gare importanti, ma Spa è speciale: per anni Lamborghini ci era andata vicina senza riuscirci. Portare finalmente a casa la vittoria nella più grande gara GT3 al mondo è stato incredibile. Poi lottare per il titolo DTM, vincere la mia prima gara e restare costantemente tra i primi mi ha dato ancora più fiducia».
Come stacchi dalle corse?
«Sono dipendente dal golf: lo vivo con la stessa passione che ho per le corse. Ogni volta che posso, vado in campo. Da ragazzo volevo davvero diventare un golfista professionista. Gioco molto anche a padel, spesso con gli altri piloti ufficiali Lamborghini, prima e durante i weekend di gara. Ma ciò che davvero mi permette di staccare è tornare in Sudafrica a trovare amici e famiglia. Sono nato in uno dei posti più belli del mondo: non c’è nulla come essere a casa durante l’off-season, anche solo per due settimane o un mese. La natura e lo stile di vita sono fantastici. Cerco sempre di godermi al massimo il tempo che trascorro in Sudafrica».
